Il saluto di Simone e la Preparazione per la Hood to coast
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Un Podista medio, io. Mi ritrovo con la calura di fine luglio a non sapere che ne sarà della mia vacanza, delle mie poco agognate ferie. Abito in un luogo turistico, per me perfetto, tutto regolare? No, non va bene al mio “gruppetto”, o meglio alla direttrice del mio “gruppetto”, quindi parto, con il “Capò” personale, per un piccolo “Lager” dove tutti sorridono per un cazzo e ti prendono per mano come un deficiente. Un agglomerato extraurbano in vicinanza d’un po’ d’acqua...
... con degli sciamannati che ti voglion far divertire. Villaggio turistico prenotato all’ultimo momento.
Parto, io deportato, con già tutto organizzato; sappiamo bene che dietro al PIL delle vacanze c’è la donna. Certo, ogni moglie è addetta alla ricerca e sviluppo di qualsiasi momento libero di noi maschioni (nella fattispecie maschietti) e dei nostri pargoli, della gestione completa di tutti gli istanti liberi. Accendono il computer, le donne di oggi sono così, e ti dicono: guarda. Li capisci che dietro quel guarda c’è già un progetto ben congeniato atto ad avere il consenso dell’esborso smodato. C’è già un progetto con un budget, determinato con non si sa quale algoritmo; c’è già un’ idea di fondo, sulla meta, che può essere stravolta in ogni momento, a patto che non sia tu a proporre l’alternativa; c’è già tutto, manca solo che tu “uomo-medio e non” dia l’assenso, ma è un proforma, perché tutto è già deciso. Ah, c’è già anche una frase pronta: ”in montagna ci andremo l’anno prossimo … forse!”
Evidentemente, dopo anni di studio psicosociologici, ho capito che il progetto vacanze non parte da una ricerca geo-storico-politico-culturale, ma più semplicemente dal nome del posto, più è esotico e più è bello (so anch’io che può esser vero! Ma se è semplicemente il nome del campeggio o dell’ hotel? Tipo Hotel Havana piuttosto che camping Hawai.), se poi glielo ha indicato un’amica, non ne parliamo.
Parto dicevo. I preparativi sono fervidi e gli sguardi a terra, in direzione delle valige, sono quelli dei filatelici. Guardo mia moglie ed osservo che sta facendo i bagagli ed interpretando l’Amleto di Shakespeare. Da buona mancina con la mano sinistra tiene con delicata forza una maglietta e sembra dire: “la porto o non la porto … questo è il problema”. Con la mano destra invece, disinteressatamente , ma con una smorfia di stizza, caccia via i miei eredi entusiasti, con un movimento che ricorda le frisone da latte mentre, con la coda, cacciano le mosche dai loro fianchi. Poi la stessa mano la porta velocemente alla fronte e picchiettandosi le meningi pronuncia:”ecco, adesso se mi dimentico qualcosa è colpa vostra!”.
I miei bambini la guardano come un UFO e riprendono da dove avevano sospeso: salto ad ostacoli per la casa disseminata di vesti e suppellettili.
Le donne sono speciali nell’organizzazione e nella gestione delle cose, ma devono fare una cosa per volta. Lo so che mi attirerò qualche inimicizia, ma è così. Non avete mai provato a dire una cosa alla vostra compagna mentre è al telefono? Bè, non fatelo. Alla prima, senza guardarvi, vi farà un semplice movimento della mano tipo cacciar i moscerini, al secondo si girerà con uno sguardo a mo’ di Bruce Lee nell’ ”Urlo Di Chen Terrorizza Anche L'occidente” vi farà il verso di un serpente a sonagli : sssssssssssssssssssssssssss!!! E con la voce della bambina (non so il nome) del film “L’esorcista”: NON VEDI CHE SONO AL TELEFONO!?! Voi magari gli volevate dire che sta partendo il treno o che la casa sta andando a fuoco, ma lei è al cell e non ce né per nessuno. Nella fattispecie la guardate mesti e lei si gira, dopo l’ultima occhiataccia, e riprende felicemente l’importante comunicazione, dicendo: bè, io la prenderei rosa.
Parto, dicevamo, saliamo in macchina dopo aver stivato tutto con la pazienza d’un Certosino, non dell’Invernizzi, ed il muletto della Iveco. Via …
Per il percorso ci siamo affidati a Google Maps, una figata,tre ore per arrivare dietro a casa; la tennologia. Al ritorno neanche due andando più piano! Per forza, per accorciarla mi sa che il famoso portale ha un software che ti fa fare le scorciatoie come si faceva nelle “non competitive” negli anni ottanta: tagliavi a campi. Avremo fatto cinquecento rotonde e visitato un paio di scantinati.
Arrivati nelle brècane, mentre il mio “Capò” espleta le funzioni di accettazione con “Himmler” io penso alle mie piccole evasioni quotidiane dal villaggio per allenarmi. Guardo in lontananza e studio la morfologia del territorio, scruto le cunette per le variazioni ed i grandi rettilinei per le ripetute da mille. Chiedo subito delle info relative a dei percorsi, devo trovarne uno da circa dieci chilometri perché devo fare un test.
Ci assegnano il bivacco, dentro ha tutto quel che serve, sembra “l’appartamento” che aveva trovato Pozzeto a Milano nel film “Ragazzo di campagna”. Un minimonolocale piccolo.
L’ambiente circostante sembra bello e c’è tutto quel che serve; soprattutto per lo sport. Ci sono campi da tennis, calcio, pallavolo, pallacanestro e bocce, ma si sa che a quelli come noi sembran pagliativi, giochetti per chi non fa sport, per chi vuole fare qualcosa e raccontarlo al ritorno a casa.
Inizio a vivere, sistemo il bunker e mi rilasso trenta quaranta secondi, tempo che arrivino i miei Duracell al grido di Papà, Papà vieni sullo scivolo; ed io mi chiedo come sia possibile che con la resistenza, resilienza da maratona talvolta si fatichi a far uno scivolo … bha. La moglie mi guarda e con un gesto assertivo mi autorizza ad andare su questo mega scivolo attorcigliato. Via.
Facendo un sorriso alla mia consorte torno sulla sdraio e lei non mi parla della crisi parlamentare, delle alluvioni in Asia, del sorpasso storico della Cina ai danni del Giappone, sulla produttività del secondo trimestre duemiladieci, ne approfitta per dirmi che Madonna, la cantante, ha speso settecentomila dollari per rifarsi; cazzo, ho detto io, fra trent’anni saremo circondati da modelle gobbe che camminano come tua nonna, che si sistemano la dentiera e magari la puliscono dal rossetto (ogni buona nonna che esce vestita a festa ha il rossetto sui denti).
Bene, dopo lo scivolo e i commenti su Orietta Berti americana, vado a farmi una corsetta per sondare il territorio. Vado. Esco dal Lager col mio braccialetto di riconoscimento e sono immediatamente pervaso da un senso di piacere che mi fa sorridere. Sento quella sensazione fantastica di avere il sangue gassato, sono frizzante. Tre passi e poi accendo Sticky Fingers dei Rolling Stone, so cosa state pensando!! Non ho l’Ipod e nemmeno il geloso, la musica io ce l’ho dentro. Già con le prime note inizio a volare, l’aria del mare aiuta molto, è un piacere.
Mentre corro riordino le idee. In questo periodo nel cervello mi frulla di tutto. Sto pensando sopratutto al mio futuro, in una certa forma lontano dal mondo della corsa senza un motivo vero e proprio, ma la vita è così ed a me piace anche per questo. Mi mancherete. Cosa farò? Accetto proposte, qualche buona opportunità l’ho già … vedremo. E poi sto pensando alla gara a staffetta alla quale sono iscritto: la Hood to Coast. Sto cercando di capire che allenamento fare o meglio quali sono le sedute più idonee a farmi capire che ritmo mantenere per correre la sesta, la diciottesima e la trentesima ora. Correrò tre tappe da dieci chilometri con dodici compagni di viaggio. Una gara strana, si parte da una montagna di Portland e si arriva al mare, sempre nell’Oregon, dopo duecentodiciannove miglia; come partire dal Rifugio Chierego sul M.Baldo ed arrivare in spiaggia a Riccione. Ci sono mille squadre iscritte, quindi un totale di dodicimila svitati, un americanata … non vedo l’ora.
Il giorno seguente, sole, piscina (mare mai), bunker, corsa e poco pesce perché vi svelo un segreto: in agosto in tutto l’Adriatico c’è il fermo pesca, fatta eccezione per i compartimenti di Pescara e Ortona che adottano lo stesso periodo di fermo previsto per i litorali tirrenici, dal 1 al 30 settembre, roba da matti non c’è pesce fresco.
Altro giorno ancora e provo il doppio. In realtà doveva essere un triplo, ma mio figlio insiste per farmi fare una gara di braccio di ferro! E salta la terza seduta (n.b. per chi non è pratico di corsa, le sedute sono sessioni di allenamento, non …). Dietro richiesta dei miei ragazzi mi butterei nel fuoco, ma nella caso particolare, è inutile negarlo una piccola voglia di partecipazione c’è. Si, devo far vedere che non lo farei ma poi l’olezzo di Denim Mask mi sale al naso e l’uomo che non deve chiedere mai che c’è in me non sa dire no.
Arriva sera e dopo due da otto chilometri a quattro e tredici e altre attività ludiche, inizia il torneo. Adocchio immediatamente il Conan di turno. Un buzzurro pompato all’elio con lo sguardo alla Charles Bronson, ma a dire il vero sembra la copia di jean claude van damme, uguale. Cazzo, è meglio lasciar perdere, col culo che ho mi tocca subito lui; che figura faccio coi miei ragazzi? Lo guardo, lo riguardo e non c’è dubbio che sia l’uomo da battere. Iniziano le danze, io sono il numero settantadue di tredici iscritti (esagerati, forse si aspettavano tutta la costa Adriatica) ed io, sicuramente, per esorcizzare inizio a dire: io voglio lui, voglio il (pit) bullo, forse per sconfiggere quel poco di lui che ho in me; voglio lui. Troppo grosso però. Due incontri lui, due incontri io, semifinali, sorteggio. Mi si avvicina l’animatore efebico e mi dice: per mèèè te la vèdi tè e lui la finale, caroh. E perdo! Dico io. No, no, caro, vinci. Chiamano, settantadue e ottantasei, io e lui. Guardo il pubblico ed apro le braccia con un sospiro, prima volta in vita mia che faccio l’umile, il pubblico lo sente e tifa per me, compresa la sua ragazza (ora esagero io). Mi avvicino al tavolo, sembra una macchina da tortura medioevale, la guardo bene per capire come affrontarla, quasi mi dovessi battere con lei, ma è solo per spostare la mia attenzione. Concentrato? Un po’, è difficile con una platea di tedeschi, con l’animatore che ne spara una dietro l’altra e con una musica da esaltati a tutto volume. Mi accomodo, allargo le gambe e fisso i miei Dr Sholls al palco. Appoggio il gomito, guardo in direzione del mio gruppetto (teso più di me). Do l’estremità del mio arto destro al mio avversario, alzo gli occhi, fino a questo momento non lo avevo fatto, nemmeno con gli avversari precedenti, non ne ricorderei il viso; l’energumeno mi sta fissando, ahi. Riabbasso lo sguardo sulla mia e sua mano. Apro la mano e la richiudo, quasi con classe, andando a serrare mignolo, anulare, medio e indice con armonia e relativa forza. L’arbitro ci guarda e pone le mani sulle nostre. Iniziamo progressivamente a spingere, dobbiamo essere pronti per quando le toglierà. Pronti, annuiamo e con un gesto veloce l’arbitro si ritrae e noi siamo in battaglia. Sento fischi e urla: panem et circenses. Piego il polso e socchiudo gl’occhi, in questi momenti mi sento un treno, un escavatore e con un movimento razionale, comandato dall’omino che ho in cabina di comando piego, come una virata lenta, alzo gli occhi e lo vedo incredulo che si guarda il braccio messo come se fosse all’Usll per il prelievo. Vinto! Delirio, sembra che debbano portarmi in trionfo. Mia moglie salta dalla sedia, i bambini urlano ed io mi sento giusto, come se avessi dovuto farlo per tutti. Nella finale a tre, forse già appagato, un po’ coglione e stanco, sono tornato umano ed ho perso, ma moralmente ho vinto io ed i miei bambini ne sono orgogliosi.
Torniamo all’alcova, è tardi, dovrei esser stanco ed invece lascio dietro di me la scia fluorescente di adrenalina. Non dormiamo.
Tutto sommato mi sto divertendo, passano i giorni, mi alleno nell’umidità e miglioro. In fondo mi adatto sempre e riesco a stare veramente bene ovunque. La corsa mi riordina i pensieri e noi corridori abbiamo una marcia in più.
Noi siamo l’essenza dello sport (e della vita), siamo il nucleo centrale. La corsa è sostanza; tutto il resto è forma … come la vacanza.
Simone Cartom Crema